A un certo punto del colloquio, Matteo Renzi e Silvio Berlusconi restano soli. Escono dalla sala Aldo Moro i capigruppo azzurri Brunetta e Romani, ma anche i fedelissimi del leader Pd, Delrio e Guerini. E lì, a quattr’occhi, la «profonda sintonia» tra i due assume connotati concreti. Non un patto ma una road map per «cambiare l’Italia» nel prossimo anno. Anche se di scadenza anticipata del governo non si è parlato, è questo l’orizzonte a cui pensa il Cavaliere.
Un solo, grande asse: bipartitismo e magari presidenzialismo. «Facciamo come negli Stati Uniti» ha detto suadente il Cavaliere. L’Italicum, su cui Renzi ha garantito tempi rapidi per l’approvazione (entro marzo) e l’elezione diretta del capo dello Stato, tema però ancora da approfondire. Con Forza Italia all’opposizione ma «disponibile ad approvare insieme le riforme», giustizia, lavoro, pensioni, fisco. A fare opposizione soft, valutando ogni provvedimento. Ma soprattutto Pd e Fi uniti in una blindatura anti-piccoli a cui non è estranea l’idea di ritoccare la par condicio, tradizionale bestia nera dell’ex premier.
Nell’incontro, oltre alla necessità di andare avanti «nei tempi previsti» con la legge elettorale – e cioè di non lasciarsi «imbrigliare» nella «palude» – premier incaricato ed ex premier si sono trovati d’accordo sul mantenere l’impianto. Che invece i partitini, da Ncd a Sc, vorrebbero scardinare. E Berlusconi ha messo sul piatto anche la riforma della Giustizia (che Brunetta ha poi “calendarizzato” pubblicamente per l’estate prossima). Mentre Renzi aggiungeva, a beneficio dei cronisti, che «non è solo quella di cui vi siete occupati per vent’anni».
Non solo i temi penali: anche quelli civili e amministrativi. Vale a dire: i mali della giustizia italiana non sono (solo?) Berlusconi. Che ha fatto sapere: non accetterà un «giustizialista» come Guardasigilli. Non gli piacciono né Vietti né Livia Pomodoro. E nemmeno l’opzione «politica» del trasloco di Dario Franceschini lo fa sentire garantito. Il profilo a cui lavora Renzi è quello di un tecnico di alto profilo e «non di parte». E “Silvio” vedrebbe bene anche la delega delle Comunicazioni ad Antonio Catricalà.
Un ora e mezzo di consultazione. Berlusconi esce dall’incontro di umore radioso: «Ho avuto il piacere di incontrato un premier che ha la metà dei miei anni. È un buon segnale per il rinnovamento della classe dirigente, ringiovanisca la squadra di governo». Ecco un altro consiglio a “Matteo”: «Metti in squadra uomini nuovi e fidati». Non come “Angelino”, insomma.
Si posiziona al microfono della Sala del Cavaliere – ironia della sorte – tra i suoi capigruppo (silenti e confinati nel ruolo di suggeritori), circondato dalle bandiere italiana ed europea. Una rentrée in grande stile: la prima volta del leader azzurro in Parlamento dopo la decadenza, e dopo aver giurato che non ci avrebbe più messo piede (ma anche, va detto, dopo essere stato alla Vetrata del Quirinale).
Ed è praticamente un comizio, un programma di legislatura: il governo (con Alfano) si occuperà delle «cose normali», lui e Renzi faranno le riforme istituzionali perché «l’Italia ha assolutamente bisogno di diventare un Paese governabile». Le vere larghe intese, insomma, sono le loro. Trasversali, solide, innafffiate dai «consigli» che Silvio ha fornito al giovane politico. E dunque: «Rivedere l’assetto costituzionale per dare al presidente del Consiglio gli stessi poteri che hanno i suoi colleghi in altri Paesi». Poi, abolizione del Senato con un tempo massimo di 120 giorni alla Camera per approvare le leggi.
Modificare la Corte Costituzionale: «Non si può lasciare al capo dello Stato la prerogativa di nominare cinque membri. Oggi da istituzione di garanzia è diventato un organo politico della sinistra». Poi blinda l’Italicum: «Non si cambia, la discussione è stata sofferta, abbiamo già aderito a soglie di sbarramento che non pensavamo dovessero essere così basse». Da cambiare anche la par condicio, che «favorisce la frammentazione e concede lo stesso spazio televisivo dei grandi ai partiti piccoli»
Infine, l’ultima stilettata ad Alfano: «Renzi non si preoccupi per il semestre europeo che è solo un incarico onorifico. Non deve impedire nessuna attività del governo e del Parlamento». Comprese le eventuali elezioni politiche. Il messaggio è chiaro: questa è la minestra, altrimenti si va al voto. Berlusconi è convinto così di spuntare le pretese dei «cugini» di Ncd.
Ed è certo che il percorso tracciato con Renzi sia «assolutamente percorribile». Anche se, di fatto, per la maggior parte del tempo è stato il Cavaliere a parlare, e l’altro ad ascoltare, magari annuendo. Pure gli aneddoti degli anni di Berlusconi al governo, dei vertici internazionali, e dei «pugni da battere» in Europa per arginare lo strapotere della Merkel. Aspetti di colore e cordialità reciproche che il leader di Forza Italia – dopo essersi fatto il segno del silenzio con un dito sulle labbra in conferenza stampa – ha raccontato nei particolari al pranzo a Palazzo Grazioli con i suoi europarlamentari. Salutati con «salve, voi siete gli inutili idioti…». Oggi pomeriggio sarà la volta dei gruppi parlamentari.