SONO PIÙ LIBERE CHE IN PASSATO SUL PIANO DEI DIRITTI, MA GRAN PARTE DI LORO NON SI SENTONO ALTRETTANTO LIBERE “INTERIORMENTE”.
La donna – grazie alle tre rivoluzioni più importanti degli ultimi secoli (francese, industriale, giovanile) e al parallelo processo di emancipazione femminile – sono molto più libere che in passato sul piano dei diritti, ma gran parte di loro non si sentono altrettanto libere “interiormente”. Esse hanno introiettato modelli antichissimi di ruolo (moglie e madre) e parallelamente modalità di relazione con gli uomini da cui non sempre riescono bene a distaccarsi. Nella peggiore delle ipotesi sono talmente identificate in certi pensieri, atteggiamenti e comportamenti, tanto da essere le prime a mantenere lo status quo.
In tal senso fondamentale è la centralità dei media. All’interno di pubblicità, films, fiction, molto spesso la donna ha due immagini. La prima è di colei che si dedica quasi esclusivamente alla casa e ai figli e la seconda di una donna sensuale ed estremamente provocante.
Fino a non molto tempo fa la famiglia era totalmente diversa da come appare oggi. Le generazioni dei nostri nonni o bisnonni ci raccontano che c’era una rigida separazione dei ruoli tra marito e moglie e tra genitori e figli. Nel parlare ci si dava del lei o del voi e i due rapporti erano asimmetrici. Molto spesso i mariti si rivolgevano alla moglie con il tu e questa doveva rispondere con il lei o il voi. I figli venivano educati ad usare il voi quando interpellavano i genitori, mentre questi ultimi potevano usare il tu. Il potere era nelle mani del maschio più anziano, che poteva decidere su ogni aspetto della vita dei figli. Persino la scelta del marito o della moglie spesso non era libera. I matrimoni avevano fini soprattutto economici ed era spesso il padre a decidere quale donna o uomo dovevano sposare i figli. Non importava che questi fossero maggiorenni o avessero quarant’anni, lui era il padre padrone e finché era in grado di intendere e volere, aveva il diritto di comandare su ogni cosa. Le relazioni quelle tra i coniugi e tra essi e i figli erano fredde e distaccate. Ancora di più lo erano quelle che potevano instaurarsi fuori dal contesto famigliare. Il bisogno materiale era notevole e non permetteva di pensare alla qualità delle relazioni umane, se non come forma di educazione e rispetto. Lo status in cui si nasceva (ad esempio borghese, nobile, contadino), salvo rarissimi casi, rimaneva lo stesso fino alla morte. Quasi sicuramente il figlio di un contadino, una volta adulto, sarebbe a sua volta diventato un contadino. La stessa cosa valeva per i figli di braccianti, falegnami, commercianti, etc. Ribellarsi alla famiglia poteva significare essere rinnegati come figli o rifiutati da un intero gruppo della società. La quotidianità nelle aree agro-pastorali, riportata dalle memorie locali, risultava scandita da precisi tempi, spazi e ruoli. L’uomo esercitava i suoi tradizionali ruoli, ma in sua assenza (guerra, vedovanza, malattia) alla donna era assegnato ogni compito oltre a quello materno.
I movimenti di emancipazione femminile, prima, e poi la controcultura degli anni ’60-70 hanno contribuito a mettere in discussione molti capisaldi della tradizionale cultura della repressione, dell’autorità, del moralismo, portando ad una più effettiva parità tra i sessi, una maggiore libertà sessuale, una maggiore attenzione ai diritti, alle peculiarità dei giovani e delle minoranze. Da una società rigida, autoritaria, repressiva – che è rimasta immutata per secoli – in poco tempo siamo passati ad una società libera, dinamica, complessa. I ritmi di vita sono molto più veloci; nascono nuovi mezzi di comunicazione comodi e veloci. Attraverso internet abbiamo accesso ad una infinita quantità di informazione su ogni genere di argomento. La posta elettronica ci permette di inviare lettere e documenti di lavoro in pochi secondi. Si può lavorare da casa! Con la chat è possibile parlare in tempo reale con persone provenienti da ogni parte del mondo.
Ci permette di avere un aperto confronto con uomini e donne di cultura diversa o opposta dalla nostra. Oggi si parla di mobilità sociale quella che ci permette di scegliere cosa fare della nostra vita. Possiamo scegliere se studiare o lavorare e quale tipo di lavoro fare o a quale facoltà universitaria iscriversi. C’è una maggiore libertà nelle espressioni di idee all’interno del lavoro, della famiglia e della coppia. Ma anche una certa libertà nel modo di vestire e nello sperimentare la sessualità. Oltre la famiglia diventano importanti per la persona altri aspetti della vita: il lavoro, i viaggi, l’amicizia, lo sport e lo svago in generale. Le donne vanno a lavorare e i rapporti tra marito e moglie diventano più egualitari. Non c’è più un padre padrone che decide per la ns vita. La cultura cui apparteniamo si serve di tutti i mezzi a sua disposizione per ottenere dagli individui dei due sessi il comportamento più adeguato ai valori che le preme conservare e trasmettere. Eppure c’è una grande disparità di trattamento a livello sociale, economico e familiare e la donna è la maggiore responsabile nel mantenere immutati certi schemi, abitudini perché li ha interiorizzati. Fin dalla primissima infanzia si elimina tutto ciò che può rendere simili maschi e femmine e si esalta tutto ciò che può renderli differenti, a cominciare ad esempio con l’uso dei due colori rosa e celeste o l’arredamento della stanza. I genitori hanno in mente un modello preciso cui i figli devono adeguarsi a seconda del loro sesso. Esempi di differenziazione: ci da fastidio che le bambine imparino a fischiare, ci sembra naturale che lo faccia un maschio. Si interviene se una bambina ride sguaiatamente, ma ci va benissimo che lo faccia un maschietto. Non tolleriamo che una bambina stia “scomposta,” ci sembra normale che stia “scomposto” un maschio. Si pretende che una bambina non urli, non parli a voce alta, ma se si tratta di un bambino ci sembra naturale. Puniamo una bambina, trasalendo di raccapriccio, se dice parolacce, se le dice un maschio ci viene da ridere. Mettiamo in ridicolo un bambino che ha paura, ci sembra normalissimo in una bambina. Se una bambina piagnucola le diciamo che è noiosa ma le diamo retta, se lo fa un bambino gli diciamo che è una femminuccia. Spingiamo un bambino a giocare alla guerra, ad arrampicarsi sugli alberi, a cimentarsi fisicamente, ma tratteniamo una bambina che vorrebbe fare le stesse cose. Anche le vecchie favole propongono donne miti, passive, occupate a curare la propria bellezza, inette e incapaci. Le figure maschili sono forti, attive, coraggiose, intelligenti. Ad es. Cappuccetto Rosso è la storia di una bambina ai limiti dell’insufficienza mentale che viene mandata in giro da una madre irresponsabile per cupi boschi infestati da lupi per portare alla nonna malata panierini colmi di ciambelle. Si trova sempre nel posto giusto, al momento giusto un cacciatore coraggioso e pieno di acume pronto a salvare dal lupo nonna e nipote. Biancaneve è anche lei una stolida ochetta che accetta la prima mela che le viene offerta, per quanto sia stata severamente ammonita di non fidarsi di nessuno. Quando i sette nani accettano di ospitarla, i ruoli si ricompongono: loro andranno a lavorare, ma lei gli terrà la casa in ordine, rammenderà, scoperà, cucinerà e aspetterà il loro ritorno. Anche lei vive con la testa nel sacco, l’unica qualità che le si riconosce è la bellezza ma, visto che essere belli è un dono di natura nel quale la volontà di un individuo c’entra ben poco, anche questo non le fa molto onore. Riesce sempre a mettersi negli impicci ma per tirarla fuori deve, come sempre, intervenire un uomo, il Principe Azzurro, che regolarmente la sposerà. L’operazione da fare quindi non è formare le bambine a immagine e somiglianza dei maschi ma restituire ad ogni individuo la possibilità di svilupparsi nel modo che le è più congeniale, indipendentemente dal sesso cui appartiene e soprattutto garantirgli parità di diritti e di opportunità. La parità dei diritti, almeno su carta, è già stata offerta alla donna ma resterà loro inaccessibile finché non saranno modificate le strutture psicologiche che impediscono alle donne di farli propri
La vecchia cultura ha portato gli uomini a enfatizzare gli aspetti maschili rudi e forti della loro personalità reprimendo quelli femminili della sensualità, sensibilità, emotività, dolcezza; allo stesso modo le donne hanno enfatizzato aspetti quali la seduzione e la remissività (gli unici che gli davano un minimo di riconoscimento sociale e potere) e hanno represso la loro parte maschile: lo spirito di iniziativa, la capacità di chiedere, di manifestare il proprio piacere, verbalizzare le proprie idee etc. La donna è stata privata del rispetto, l’espressività, il piacere fisico, l’uomo ha perso la sensualità e l’amore – il piacere di aprirsi all’amore, darlo alla propria compagna, di riceverlo Le donne hanno conquistato l’autonomia assimilando i modelli della cultura maschile, in parte subendoli in parte trasformandoli mentre gli uomini si aprono faticosamente alla loro parte femminile, quindi la loro debolezza e le loro emozioni.
Dottoressa Professoressa Cristina Siciliano