Adriano Tarullo: la canzone in bilico tra cronaca e fantasia

Tarullo CoverAl cantautore un tempo era destinato il ruolo di cronista, sociale ed ermetico, politico e reazionario. Poi l’amore e la fantasia. E in breve tempo, con la comunicazione di massa e con le mode commerciali anche la follia del sentimento ha trovato l’omologazione e il conformismo. Ma dalle scene così chiamate underground o indipendenti ancora troviamo voci interessanti soprattutto tra i cantautori. L’abruzzese Adriano Tarullo pubblica il suo nuovo disco dal titolo “Storie di presunta normalità” e la sua canzone torna a fare un poco la cronaca di ciò che vede e che vive attorno, dai personaggi di un piccolo paese al dramma del terremoto, sfiorando tempi impegnativi come i pregiudizi razziali o le malattie debilitanti il tutto con un piglio decisamente leggero, ispirato, camuffandone anche i contorni attraverso la scusa di una delle sue tante storie di presunta normalità. In rete il video di lancio del singolo “Cenere di stelle” con una bellissima clip di animazione realizzata dal Collettivo Lhumans. L’intervista:

La canzone d’autore di Adriano Tarullo in questo nuovo disco non prevede l’uso del dialetto. Come mai questa trasformazione di stile?
Semplicemente voglio ampliare il numero di persone a cui giungere. Un termine dialettale può racchiudere un intero mondo che la semplice traduzione in italiano può non restituire. La verità è che riesco a scrivere meglio in italiano. Il dialetto si italianizza, scompare. Mi rendo conto di quanto sia limitato il mio vocabolario dialettale e di come cambia da paese in paese pur se appartenente alla stessa regione. Cantare in dialetto è stato per me un atto d’amore verso la mia terra. Adesso sento la necessità di cambiare.

Un disco che ha mille facce. Dalla forma più popolare ad andamenti più americani come “Quella strana allergia ai cipressi”. Da dove prende ispirazione una simile varianza di stili?
Tutte le influenze derivano dagli ascolti musicali che nel tempo sono variati con vari generi. Ho ascoltato molta musica dal rock al jazz, includendo anche la musica leggera italiana che, considerando autori come Guccini o De Andrè, leggera non è affatto. È molto importante studiare la grammatica musicale per avere una coscienza necessaria che ti permetta, almeno secondo alcuni criteri, di produrre dischi. Noi abbiamo molteplici personalità e, a seconda del contesto, riusciamo a farne emergere una più delle altre. Penso che la stessa cosa possa accadere nella musica. Per me è difficile essere solo chitarrista, solo un cantautore o solo un bluesman. Voglio che nella mia musica emerga tutto quello che io sono. So anche che è difficile, che è molto più facile identificare qualcuno secondo canoni già stabiliti ma non fa parte della mia logica.

A parte forse “La nuora nera” difficilmente ti impegni in temi sociali e politici. Una scelta o semplice bisogno di raccontare altro?
Dire che non trattare temi sociali non è veritiero. Cantare una malattia come l’Alzheimer, che riguarda solo in Italia più di seicentomila malati e i relativi nuclei famigliari, vuol dire trattare dinamiche sociali. Lo stesso vale nel raccontare consuetudini e convenzioni di piccole comunità che, a ogni modo, ritroviamo anche nelle grandi città, se non maggiormente. Dietro storie del quotidiano racconto temi come il consumismo, le mutate dinamiche del rapporto di coppia, la sanità pubblica, il razzismo. Il mio è un modo indiretto di affrontare temi sociali in cui il traino diventa la storia. Raccontare le scelte, le vicende di uomini e donne, è per me un atto anche politico. Prendersela con il politico di turno o raccontare le magagne di un partito politico è troppo facile ed è un atto scontato senza efficacia. Scovare gli atti politici delle persone nel quotidiano è, secondo me, il modo migliore per raccontare la politica di oggi.

In questo lavoro anche il terremoto torna protagonista. L’Abruzzo ultimamente colpito da violenti eventi naturali quanto ha condizionato la tua scrittura?
Senza dubbio l’Abruzzo è stato tramortito da una serie di eventi per niente piacevoli. Guardando il programma Gazebo con i conduttori che, in piena emergenza neve, entravano in una casa del teramano, riconoscevo la vera figura del montanaro abruzzese che affrontava la situazione precaria con la dispensa di salami appesi al soffitto, in mancanza di luce avevano una stufa a legna e offrivano un caffè ai viandanti. Un anziano che spalava, azione abituale nei mesi invernali, dichiarava che la neve non era il suo problema ma è l’altra cosa che lo preoccupava. L’altra cosa è il terremoto. Effettivamente siamo diventati molto sensibili alla questione. Con la canzone “Crollava l’intero paese” ho provato a raccontare il terremoto ma non ci sono riuscito. Ho focalizzato più l’attenzione verso un altro tema, ovvero quello delle chiacchiere del paese che a volte, per chi le subisce, sono tremende come le scosse di un terremoto.

Un disco che nella facciata si mostra ricco di disegni fatti a mano così come il video di lancio. Come mai questa scelta?
Mi piace mescolare le arti. Andrebbe fatto più spesso. Ho affidato tutta la realizzazione all’artista Francesco Colafella. Mi sono totalmente affidato anche nella realizzazione dell’idea grafica del booklet del disco fidandomi della sua sensibilità artistica. Il volto specchiato che apparentemente somiglia a un viso, il quale si presume completo, è stata una sua idea. Secondo me ha colto in pieno l’idea musicale trasponendola magnificamente in arte grafica. Il video del singolo “Cenere di stelle”è stato realizzato dal Collettivo Lhumans. È una canzone dai tratti fiabeschi, quindi un video animato mi sembrava la giusta rappresentazione per quel tipo di canzone.

Per chiudere vorrei parafrasare e prendere spunto dal titolo di questo lavoro. Adriano Tarullo, un’altro nome della nuova scena cantautorale italiana che sembra sempre ferma sui soliti nomi delle mode indie. Il tuo personale sguardo su queste storie di presunta normalità?
L’Italia è un paese ricco di bravi musicisti, bravi cantautori. Chi riesce a emergere ha sicuramente delle qualità ma non è detto che proponga canzoni di rilievo. Lo stesso mi sento di dire per chi non emerge. Oggi ne siamo tanti, direi troppi. Il vero problema è l’attenzione che c’è nei confronti della musica da parte di chi ne usufruisce. Nel momento in cui c’è piacere nell’ascolto, l’interesse della musica andrebbe coltivato adeguatamente per capire cosa c’è di buono. Purtroppo non è una gara di salto in lungo in cui chi effettivamente arriva più lontano è l’atleta più bravo. Anche se il piacere che restituisce la musica è molto soggettivo e dipende molto dal gusto delle persone, il fattore che più identifica lo spessore di un artista non è la qualità di quello che propone ma purtroppo è la sua notorietà. Quindi chi riesce a conservare una buona visibilità sullo schermo è tale da essere considerato mentre dall’altra parte ci sono degli eterni emergenti. Purtroppo la televisione mainstream non propone contenitori in cui la musica è principe ma questa assume un ruolo secondario. Basta vedere i talent, i presunti programmi musicali di oggi, in cui la vera attrattiva è il giudizio, elemento cardine dato da dei musicisti-giudici che parlano male di altri colleghi che a loro volta si sottopongono al massacro in cambio di qualche momento di notorietà. Da parte di chi si sintonizza c’è il gusto perverso nel vedere persone che vengono umiliate. Quasi a voler compiacersi della sconfitta altrui. La musica è altro, la musica è bellezza. La bellezza non ha bisogno di notorietà.


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