SHERPA: nemo profeta in patria

Tazlinde CD artwork

Ascolta “TANZLINDE” – on Bandcamp

Eccovi una sorpresa che dall’Abruzzo del nostro bel paese polverizza le distanze e rende carta velina i confini che delimitano la forma delle nazioni, la faccia delle persone e i colori di tutte le nostre bandiere. Sono gli Sherpa guidati, voluti e sagomati dalla visione psichedelica di Matteo Dossena, autore, voce e chitarra. Con lui gli Sherpa hanno il volto di Enrico Legnini alla chitarra-synth-mandolino, Axel Di Lorenzo ancora chitarra, Ivano Legnini al basso e infine c’è Pierluca Michetti batteria. Come di consueto l’Italia e il suo territorio fa orecchie da mercante ad uno dei più interessanti progetti che la nuova scena psichedelica ha da regalarci all’ascolto…di certo è un esordio che per qualche tratto si tradisce come tale…ma ha carte vincenti da giocarsi con un piglio ed una maturità che duro fatica a trovare altrimenti. Ad accorgersi di loro la Germania con la Sulatron Records che ne ha prodotto il tutto stampando anche il lavoro su vinile verde 180 grammi. Si intitola “Tanzlinde” questo esordio degli Sherpa, in cui troviamo 10 inediti che danzano come polvere in un equilibrio volubile tra melodie più terrene come la meravigliosa apertura affidata a “Dune” o come gli scenari cristallini e armonici che troviamo quando suona “Big Foot”, inafferrabili dove per la prima volta sembra che la voce di Dossena canti in italiano…comunque c’è sempre molta nebbia che non rende cieche le orecchie ma che restituisce fascino a tutte le sensazioni che arrivano. Ed il fascino non si esaurisce anzi esplode quando inaspettatamente troviamo le voci indiane di Ayu Shi e Ila Maa che trasportano la scrittura in un mood che raramente avremmo predetto anzitempo. E se la stessa “Sherpa” sembra strizzare l’occhio a quel grunge di fine anni ’80, la title track del disco sembra invece mescolare assieme un mantecato inspiegabile di indie alla Teatro degli Orrori con surrogati corali quasi accademici di una versione noir degli January. Dal video però mi sarei aspettato di più: i nostri immortalano la bellissima “Dune” in uno storyboard che sa troppo di Abruzzo nostrano e troppo di quotidiano nei figuranti che appaiono, che sa troppo di quell’idea resa poi colossal dai Sigur Ros quando cantano “Glósóli”. Ma in fondo delle etichette ce ne facciamo poco. Resta invece indelebile la poesia di questo disco che quasi sembra caduta per caso, quasi sembra rubata all’istinto di una jam-session garage di un dopo scuola di provincia ma che allo stesso tempo troviamo ferma e determinata di personalità e ispirazione…tantissima ispirazione. “Sherpa” è un disco che dovrebbe arrivare dalle distese scozzesi dove i vivono i Mogway o da dentro i ripari di pietra da dove nasce la voce di Jónsi. Eppure viene da un Abruzzo e da un’Italia che pensa solo a dar credito alla rete degli YouTube e del poppettino da cassetta e da commercio rendendo di plastica anche chi aveva iniziato ad alzare la voce contro il sistema. Per fortuna, volendo, i confini delle volte sono come carta velina.


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